Leadership: maschile o femminile?

Mi soffermo a volte a pensare ad esempi di leader femminili straordinarie, molto particolari per la loro umanità e forza interiore. Penso a donne che, pur con notevoli sforzi, hanno lasciato un segno nell’umanità, sostenute da una profonda fiducia in sé stesse, da una solida motivazione e da una determinazione che poche volte le ha abbandonate, anche nei momenti di disagio. Penso a donne come Rita Levi Montalcino, Michelle Bachelet, Ertharin Cousin, Janet Yellen, Sister Rosemary Nyirumbe, Ngozi Okonjo-Iweala, Madre Teresa di Calcutta, Malala Yousafzai e molte altre. Donne molto diverse tra loro in stile, personalità e storia individuale, ma uguali nella loro straordinaria capacità di illuminare.

Quando si pensa alla leadership al femminile, è forte la tentazione di associare la questione alle innumerevoli difficoltà che le donne incontrano nel loro percorso, dalla sperequazione remunerativa esistente nella scala gerarchica lavorativa, ai condizionamenti imposti che permeano la carriera professionale delle donne. Queste sono realtà sociali che vanno sicuramente abbracciate e che richiedono un costante e assiduo lavoro di persuasione e di sforzo politico e sociale.

È forte anche la tentazione di fare un confronto tra i termini che caratterizzano la leadership femminile e quella maschile. Nel mondo del business, per esempio, viene spontaneo pensare al modello di leadership al maschile che deve essere razionale dunque non emotivo, direttivo dunque non delegante, uni-direzionale dunque non flessibile. Coloro che avvallano la presenza delle donne nei posti strategici di leadership sottolineano la capacità delle donne di esserci con la testa e con il cuore, di essere multi-tasking senza essere troppo aggressive e riconducono queste qualità alla loro intrinseca natura di procreatrici. Eppure, quante volte incontriamo donne leader che assumono caratteristiche di leadership al maschile o che portano nella loro realtà di leadership incongruenze personali che, a volte, nascono da dinamiche di genere vissute nei contesti familiari di orgine o da dinamiche sociali imposte dagli ambienti in cui sono inserite?

Posto che una buona leadership debba contemplare capacità di ascolto attivo, assertività comunicativa, empatia, capacità di delega, di coinvolgimento e di flessibilità, io credo fermamente che l’elemento fondamentale per una leadership vera e costruttiva, che faccia progredire il leader e i suoi collaboratori, sia quello di essere presenti nel proprio ruolo di leader partendo da un punto di equilibrio interiore che abbia fatto pace con la propria umanità.

È proprio con la definizione fare pace con la propria umanità che io faccio appello a un’esigenza sempre più impellente, sia nel mondo femminile che in quello maschile, che è quella di esprimere la propria leadership partendo da una posizione di congruenza personale, di equilibrio interiore, che abbia trovato soluzioni a difficoltà emotive e caratteriali e che sia in grado di apprezzare e rispettare liberamente la propria unicità, fatta di valori, qualità e specificità che sono uniche in ciascuno di noi e che non possono essere omologate. Io credo fermamente che l’atto di fare pace con la propria umanità sia altamente rivoluzionario perchè non solo sfida un modello teso alla mera produzione e alienazione umana, ma re-introduce l’elemento umanistico che si è perduto negli ultimi decenni e che spesso manca in molti contesti aziendali e produttivi.*

La leadership al femminile è sempre più apprezzata nel mondo economico e imprenditoriale (non sto parlando delle quote ‘rosa’!) per la capacità strategica delle donne che piace perchè non è soltanto competitiva ma è anche improntata alla solidarietà e alla flessibilità. È fondamentale, tuttavia, che questa leadership parta da una posizione di congruenza e di equilibrio interiore, che abbia fatto pace con le difficoltà personali, di genere e di vissuti familiari, perchè è indiscutibile che sempre ci saranno interlocutori maschili e femminili e sempre la leadership femminile verrà testata, provocata, messa in discussione e, a volte, desautorata. Occorre dunque avere il coraggio di fermarsi per ascoltare sé stesse, per guardarsi dentro ed intorno affinchè non si perda il proprio equilibrio interiore e si sia in grado di capire quale prezzo si sta pagando se si continua in una determinata direzione.

Gli strumenti giusti per una buona leadership, dunque, non sono solo quelli canonici della leadership ma sono anche quelli che permettono di fermarsi per valutare e discernere, con la forza del corpo, della sensibilità e della mente-intelletto, quali traguardi, atteggiamenti e sfide possono diventare devianti ed allontanarci da quel punto di forza, rivoluzionario, che è l’equilibrio interiore che ci porta a fare pace con la nostra umanità.

* È interessante notare come alcuni economisti prospettino per un futuro produttivo migliore nuovi modelli economici fondati su valori che includono la fiducia e l’empatia (Jeremy Rifkin, 2010, The empathic civilization, Penguin.)

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